«DIVAGAZIONI E DELIZIE» DI UN GENIO

Di Veronica Meddi

«DIVAGAZIONI E DELIZIE» di John Gay, traduzione e regia di Daniele Pecci, al Teatro Parioli fino al 22 dicembre.
 
Cosa fosse lo stordimento del dolore Oscar Wild lo sapeva e sapeva pure come ingannarlo. Sapeva creare diversivi su cui far spostare l’attenzione, la sua anche. Forse un modo per sopravvivergli ridendoci su – anche quando da ridere non c’era nulla -.
Con l’uso naturale del bon mat cercava di mantenersi vivo, così come le sue idee dal taglio sferzante, arrogante con cui provocava i suoi lettori sfidandoli a rimanere vigili. 
Il suo primo inganno fu decisamente la scelta di codici semplici con cui comunicare.
Tutti i suoi testi, veri capolavori dell’Ottocento, attuali come solo la grande letteratura sa essere.

Non mi ha stupita affatto che un attore come Daniele Pecci se ne sia innamorato tanto da sentire il bisogno di voler incarnare questa affascinante figura emblema di una eterna giovinezza o di un San Sebastiano con perenni frecce che martorizzano le sue carni – e per piacere assoluto o per malattia del dolore ne aveva totale conoscenza -. Il fuoco per lui andava applaudito, si racconta in un episodio della sua infanzia che non sto qui a riscrivere perché, credo, sia noto a tutti. 

Come Keats, suo poeta preferito, Oscar subiva il fascino della bellezza.
La bellezza, però, è il più grande – forse l’unico - traguardo che un artista insegue fino allo stordimento, fin pure alla completa e totale ossessione delirante.

Qui, Pecci è traduttore del testo, regista e interprete, e a modo suo rivela nello spettacolo l’intima e totale attenzione sull’ultima fase della vita di uno dei personaggi più noti e trasgressivi dell’età vittoriana. Un lavoro il suo molto attento, completo, riuscito soprattutto nella prima parte – sfacciata e divertente -, resto fiduciosa per la miglioria della seconda parte che richiede all’attore tutt’altro registro – la tragedia arriva nel momento esatto della conoscenza, e qui il dolore, non è stato dall’attore completamente ingoiato, metabolizzato, espulso poi. Lo spegnersi di Wild/Pecci è troppo intimo, imploso, e per questo, non giunto al pubblico -. 

Si apre il sipario, poi veloce si richiude, e poi si riapre – per forza, lo spettacolo deve iniziare -.
Il pubblico non ha ben capito se questa sia stata la scelta registica di Pecci o se invece s’era presentato davvero un problema tecnico; quindi, compartecipe per una intuita preoccupazione, all’ingresso dell’attore non è scattato l’accogliente e caloroso applauso di rito, in platea ha regnato, invece, il silenzio.

«Ora voi vi chiederete chi è questo signore annunciato come Sebastian Melmoth…»


Il contesto scenico è essenziale ma necessario per il racconto: un pianoforte e un tavolino con su disposti oggetti a cui il drammaturgo era legato – per lavoro o vita, nel suo caso non c’era differenza -. Alle sue spalle un importante tendaggio che a primo impatto ricorda un bosco notturno abitato da alti pini secolari, oppure, è possibile pensare – e l’ho pensato - su ogni piega, insieme alla polvere, tutti i ricordi di una vita amata, goduta, tormentata, finita.

Attenti e fedeli i costumi di Alessandro Lai, un tight nero con tanto di garofano verde in bella vista, simbolo dell’estetismo, bellezza per amore della bellezza o di gusti sessuali liberi – è oggi questo fiore icona LGBT-. 

Piacevoli, a tratti d’accompagnamento emotivo intenso, le musiche originali di Patrizio Maria D’Artista che musicano i testi recitati da Pecci e presentati con armonia passano dai romanzi, ai racconti, dalle commedie, ai saggi, a lettere, e agli immancabili acutissimi aforismi.

Il gioco che l’autore statunitense Gay presenta e a cui invita il pubblico a partecipare in modo attivo – domande e risposte – diverte e fa riflettere. 

Ogni parola, comunque, una dura pietra.

È l’ultimo anno di vita di Wilde, uscito dal carcere, stanco ma sempre sarcastico, ingrassato e malato, cerca di tirare avanti - perché ormai in bancarotta – come può: dà spettacolo di sé in piccole sale teatrali che affitta, presentandosi al pubblico parigino come ‘il mostro’, ‘lo scandalo vivente’.

Sembra che i personaggi cattivi riescano a esercitare una maggiore affascinazione sul lettore e/o sul pubblico.
Chi non ha subito il carisma di Dracula?
La malattia aveva tolto ogni colore sul volto di Wild, ecco perché Pecci è cosparso delicatamente di cerone bianco. Anche se buffoneggia strafottente questo personaggio, a questo punto del racconto, è vicino alla morte per meningoencefalite, o otite, o neurosifilide, non è molto chiaro, comunque certo è che uscì carnalmente di scena all’età di 46 anni.

«Giuro che non vi trascinerò sulla retta via»

Il modo in cui Pecci pronuncia certe taglienti battute strappa molte risate al pubblico che per tutta la prima parte dello spettacolo è da lui sedotto, affascinato.

Nell’ironia pungente, parole e movimenti mettono in scena – anche - l’alone di solitudine con cui Wild ha vissuto fino alla fine – non si avvale dei macchinisti, sposta da solo il suo tavolo maniacalmente ordinato -. 
Chiede loro solo l’assenzio, un bicchiere, più bicchieri fino a impossessarsi di un’intera bottiglia perché alla sete, un po’ di pace, un bicchiere non basta. Il dolore della malattia, la miseria, il crollo della sua esistenza erano davvero troppo pesanti da mandar giù. 

E poi, non c’è solo fama, c’è infamia su di lui.

«C’è quella schifezza di Oscar Wilde» diceva la gente.

È risaputo il fatto che dopo aver chiarito a tutti «no, no, non sono inglese, sono irlandese», scelse per presentarsi al suo pubblico vari pseudonimi, come Sebastian.

«Sono un genio»


Poi parla di «singolari Stati, detti Uniti».
Degli Americani ha idee precise: non hanno storia perché mancanti di rovine, sono sempre armati tutti, e poi vestono con cattivo gusto – e questo, per lui, era davvero un altro serio peccato -.

Fa le sue conferenze, quella a cui tiene di più è ‘Etica dell’Arte’, ma Benvenuto Cellini è morto. 

«Chi gli ha sparato?»


Tra storie di unicorni e porco spini che si accoppiano è convinto che «la menzogna è un’arte» e che «le persone sono senza principi, le migliori al mondo».

Con l’espressione da impunito guarda il suo pubblico, Pecci, e credo che tra le battute che gli siano riuscite meglio una su tutte spicca per perversa perfezione «Io insulto un po’ tutti».

 «Io insulto un po’ tutti»

«Oggi l’amore è fuori moda», l’amore che è Croce e delizia.
«L’arte è bellezza… è inutile»
«L’artista è l’ultima creazione di Dio» 
«Io amo recitare e amo l’assenzio»
«Accettare un buon consiglio è fatale»


La filosofia che più accettava e su cui Pecci ha giocato bene le sue carte è quella dell’uccello che è convinto che quello che non vede non esiste. Bisogna goderla la vita.

La società è intossicata dal buon senso, e onestamente – penso io e pensano molti - il buon senso è a volte noioso e la noia è ancor più pericolosa di un tradimento, del veleno o di uno sparo di pistola.

«L’uomo prende tutto sul serio»
«I pec«In carcere ti spogliano e poi ti fanno male».


cati della carne non sono niente, invece quelli dell’anima …»


Lord Alfred Bruce Dougls, “Bosie”, è stato il suo compagno, il grande amore. 
Bosie è un uomo, Oscar è un uomo, non possono amarsi, le leggi dell’epoca erano chiare su questo punto, ecco perché da lì al carcere il passo fu breve. 

«In carcere ti spogliano e poi ti fanno male».



«il vizio supremo è la superficialità»


Bello e bagnato di verità il momento in cui Oscar piange e Daniele copre con una mano il suo viso per non mostrare le lacrime – il suo personaggio piange dentro, fuori sorride perché deve sorridere -.

Intenso il pezzo de ‘La ballata dal carcere di Reading’ scritta durante la sua permanenza in prigione e firmata da Wild con lo pseudonimo C.3.3.

Inglese e poi italiano e poi un bagno di dolore che non vede ma vuole speranza per annullare il senso di alienazione di ogni detenuto costretto a compiere ogni giorno sempre le stesse azioni. 


«Dico a tutti che ricomincerò a scrivere… ma non accadrà più»


A tutti gli innamorati del teatro Daniele Pecci in «DIVAGAZIONI E DELIZIE» al Teatro Parioli fino al 22 dicembre.

Perché? 

«Lo scopo dell’amore è amare»  





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Aggiornato il

  16 dicembre 2024