‘UP AND DOWN’ D’AMORE PER «LA LOCANDIERA» DI LATELLA
Di Veronica Meddi
Tutto è immobile, si accende la luce in scena e nel silenzio delle grandi promesse qualcosa poi accade, un impatto forte e fedele più che mai all’istante in cui, nel cuore della notte, si accende una luce sulla prima pagina di un libro che si vuole leggere.
In testi così serrati – e un autore come Goldoni chiude a chiavistello ogni possibile novità fuorviante - è davvero difficile entrare e apportare un cambiamento drammaturgico. Non serve.
Carlo Goldoni è stato il drammaturgo più vicino alla sua natura d’uomo. Un teatro umano, il suo, che aggancia il pubblico ammaliato da Mirandolina cedendo a ogni suo capriccio di donna.
Al Teatro Argentina dal 17 al 28 aprile è di scena «La locandiera» di Carlo Goldoni per la regia di Antonio Latella. Con Sonia Bergamasco nel ruolo di Mirandolina, Marta Cortellazzo Wiel in quello della comica Ortensia, Ludovico Fededegni che veste i panni del Cavaliere di Ripafratta, Giovanni Franzoni quelli del Marchese di Forlipopoli, Francesco Manetti è il Conte di Albafiorita, Gabriele Pestilli, il Servitore, Marta Pizzigallo, la comica Dejanira, Valentino Villa è Fabrizio, il cameriere della locanda, le due ore e trenta minuti scorrono nel classico goldoniano che ha fatto la sua rivoluzione.
Fare storia del teatro significa studiare lo sviluppo di un’arte multiforme e composta che si esprime in modo compiuto solo nel momentaneo dello spettacolo. Il testo rimane il nucleo intorno al quale variamente si esercitano le competenze artistiche e professionali di chi contribuisce alla creazione dello spettacolo e in questa Locandiera ognuno ne ha dato la propria rilettura.
Trionfa sul palco una parete enorme che racchiude in sé, verticalmente e non tridimensionale, tutte le stanze della locanda. L’impatto è forte, il peso di un dovere viene espresso così dalla scenografa Annelisa Zaccheria che ha poi tentato di creare piccoli spazi di movimento quotidiano con un tavolino, sedie, e un lavandino contornato da altri elementi della cucina.
I costumi di Graziella Pepe, dal 1752 proiettano i personaggi all’oggi, un oggi che trascura un po’ la ricercatezza di altri tempi.
Le musiche e il suono di Franco Visioli, invece, sono state il giusto compromesso che ha unito, mixato quasi, due epoche lontane. Meraviglioso il forte contrasto con l’inserimento di Up & Down, un sopra e giù o un su e giù che ogni corpo vive nel momento tormentato di una scelta.
Perfette le luci di Simone De Angelis che hanno saputo non solo illuminare e seguire i movimenti degli attori ma hanno saputo ricreare il ronzio sordo e prolungato che emette il neon mentre carica – qui sono nove le lampade fluorescenti tubolari - per poi produrre la scintilla delle sensazioni.
Tra il Marchese di Forlipopoli e il Conte di Albafiorita c’è una disputa in corso, entrambi concordi su un punto preciso
«Mirandolina ha bisogno di denari. Denari e protezione»
«La donna per l’uomo è un’infermità», ma Mirandolina è bella, parla bene e veste con gusto, difficile se non impossibile non subire il suo fascino. Gli uomini, ognuno a modo suo, ne restano vittime.
La Locandiera riceve regali dai suoi spasimanti, ma la sua astuzia porta loro a pensare e credere che lo faccia solo per educazione, per non ferirli.
«I regali non fanno male allo stomaco»
Il Cavaliere di Ripafratta, invece, misogino, non ha avuto il piacere di parlare con lei, lui che non sopporta le donne, cerca per quanto possibile di starle alla larga, ma in certi giochi dell’amore Goldoni sapeva bene che per il Cavaliere non ci sarebbe stata speranza.
Il mondo femminile, delineato impeccabilmente da Mirandolina, sa scendere se vuole a qualsiasi compromesso, ma non può restare indifferente al desiderio innato di dover piacere.
«Povero pazzo. Mi ci metto di picco»
E più che un capriccio, questa diventa una sfida che la donna – lei per tutte e per tutte le epoche – non vuole certo perdere.
«A maritarmi non ci penso nemmeno»
«Aborrisco le donne che corrono verso gli uomini»
«Amo la mia libertà»
Sono molti gli ‘a parte’ goldoniani. Mirandolina, mentendo o dicendo la verità, cerca e trova nel pubblico un fidato alleato.
«Mi caschi il naso se entro domani non lo innamoro»
In teatro si diffonde l’odore della zuppa che Mirandolina, padrona di casa, cucina. Dietro i fornelli, girando il mestolo, tutte le sue riflessioni si uniscono per ottenere il sapore giusto, quello del controllo, della vittoria. E, lo sappiamo tutti, Mirandolina con grazia e furberia riesce nel sedurre il Cavaliere di Ripafratta.
Questo gioco di seduzione di cui Sonia Bergamasco, con la sua fisicità e timbro vocale unici, unito a questo fuggire, diffidare, allontanare per poi cedere che Ludovico Fededegni mette in essere, raggiungono il climax necessario che rende un ‘già saputo’ in un qualcosa di nuovo. La coppia funziona e il pubblico crede a loro.
«Maledetta! Mi hai lasciato con cento diavoli!»
Ogni personaggio ha la sua caratteristica specifica come è giusto che sia perché così voluta da Goldoni; e mentre il Marchese di Forlipopoli (credibile Giovanni Franzoni) è un pidocchioso rimasto al verde, la commediante Ortensia (adrenalinica la versione di Marta Cortellazzo Wiel) vocalizza, per gioco, un orgasmo – forse un po’ troppo lungo e caricato ma la commedia deve toccare gli eccessi, si sa -, la commediante Dejanira (bravissima Marta Pizzigallo) dà con la sua parlata il colore di una donna astuta, il Servitore (Gabriele Pestilli, misurato e giusto nel ruolo) assiste in un velo di anonimato, Fabrizio (perfetta l’interpretazione di Valentino Villa giocata sul togliere) aspetta il finale che sa gli apparterrà, «Mirandolina deve essere mia moglie».
Mirandolina sviene, o per finzione o per amore, sviene. Vittima del suo stesso gioco, non sarà a lei concessa una scelta, obbedirà al volere paterno.
Il suono della fisarmonica a bocca crea un momento intenso che fa sentire la malinconia.
Latella fa la scelta perfetta nel far capire senza dire, Mirandolina accarezza il cappotto del rivale amato, lo stringe a sé come se tra le braccia avesse il Cavaliere di Ripafratta. Bella l’interpretazione fisica della Bergamasco.
«Ricordatevi di nostro padre»
Mirandolina piange per amore e per la livida scelta che non le appartiene, deve solo obbedire all’ordine paterno.
E mentre lei, seduta su uno sgabello posizionato al centro del proscenio, volta le spalle al pubblico, divenendo spettatrice, osserva il ridicolo maschile che non sa, in questo caso, cosa sia l’amore, gli uomini sordi non possono sentire.
«Cambiando stato voglio Cambiare costume» e l’innamorata getta il cappotto a terra. Allontana da sé la possibilità che aveva acceso il sogno d’amore.
Antonio Latella pluripremiato protagonista della scena teatrale contemporanea, firmando questa regia del grande classico goldoniano pone per la prima volta al centro della storia e del palcoscenico una donna.
Da non perdere.