«MILVA», CANNAVACCIUOLO, E IL FIL ROUGE DALL’ ALEXANDERPLATZ ALL’AUF WIEDERSEHEN

Di Veronica Meddi

Veux-tu donc savoir si quelque étincelle de ce feu dévorant t’anime? scriveva Jean Jacques Rousseau nel Dictionnaire de musique nel 1768. 
E credo che questo sia l’incipit perfetto per analizzare uno spettacolo rosso fuoco che ha divorato il Maestro Cannavacciuolo e il pubblico con lui, «MILVA. Donna di teatro» in scena al Teatro Ghione fino al 3 aprile 2022. 
Quando due opposte realtà giungono all’eccesso degli estremi accade che s’incontrano, si guardano dritte in metaforici occhi, e si riconoscono in una identica essenza. Milva. Donna di teatro. Gennaro. Uomo di teatro. In scena la stessa entità emotiva e spettacolare.
Ferinamente l’attore giunge in platea, attraversa il pubblico, mantenendo alta una concentrazione tale che solo un grande lavoro su se stesso può concedere. La giusta tensione, fino alla fine, senza trascurare i ringraziamenti al suo amato pubblico che in piedi lo applaude. Questo è un artista! 
C’è una lettera ad attenderlo, un foglio con cui Gennaro entra in contatto iniziando così la sua preghiera che ripete nella memoria del cuore da tanti anni, e in questa occasione, più precisamente, leggendo la lettera di addio alle scene di Milva
«Non è una biografia…» e i tempi non sono quelli cronologici «Ho scelto canzoni che hanno scosso in me tante indelebili emozioni», ecco, è questa la strada fatata che porta alla bellezza. Ma non bisogna farsi ingannare da queste porte che apparentemente si presentano aperte, perché Gennaro in questo recital è perfezionista al punto tale che tutto sembra lasciato al caso. Sembra. Mette in scena, invece, tutta la puntualità che appartiene al destino.
La scena è semplice, presenti due grandi pannelli su cui vengono proiettate immagini che narrano momenti salienti della Rossa. Sul fondale, invece, a chiare lettere costantemente presente il nome Milva a cui l’artista, puntualmente, rivolge in rispetto sacro il suo sguardo, mantenendo così un contatto che sfida l’eternità.
Immancabile, necessaria per un recital di alto livello l’orchestra Midnight Quartet composta da Marco Pierini al pianoforte, Andrea Tardioli al clarinetto/sax, Silvia Lanciotti al violino e Francesco Marquez al violoncello. E il pianoforte, il clarinetto, il sax, il violino e il violoncello, credetemi, vibravano vivi in questo racconto che ha bruciato nelle fiamme della passione con ritmi e atmosfere che riconducevano a un’altra dimensione.
Toccato da una bellezza che non accetta nè ‘se’ né ‘ma’, il momento – uno dei tanti – in cui durante la proiezione del film D’amore si muore, Milva, si alterna alla voce di Gennaro. E quando Gennaro chiude gli occhi è con lei.
Intanto sul piano forte trionfa con eleganza una rosa, rossa anche lei che vibra insieme ai tasti bianchi e neri cha raccontano la loro poesia.
Sale il climax emozionale quando Gennaro interpreta Thalassa di Mikroutsikos, canta in lingua greca, e l’artista in questo momento esatto è invaso dal piacere che assorbe e che restituisce nella verità più assoluta. Non nego di aver pensato che lui abbia prestato a Lei corpo e anima, che Lei se ne sia impossessata, d’altronde si sa che era fatta così; questo fenomeno raramente accade, ma quando si manifesta è come assistere a una grazia a cui non va chiesta alcuna spiegazione.  
Franco Battiato in Alexanderplatz, fumo e luci intime come la ricerca sensuale delle mani che cercano nei movimenti curati non solo esteticamente – no, Gennaro va ben oltre l’apparire, vuole toccare ed essere sfiorato – ma come un attore del No o del Kabuki che sfrutta il tempo, lo dilata per restituirgli la giusta importanza. 
Enzo Iannacci creò per MilvaLa Rossa’ e per la ‘povera rossa’ Gennaro finge l’allegria con movenze giocose. Ecco, in un grande recital, non può mancare la delizia. Perché il teatro è un gioco, è vero, ma è un gioco serio.
Senza rete, tra l’orrido, il patetico, l’ambiguo, Strehler ricorda in una proiezione che annulla lo spazio che ‘i mostri non sono mai tanto lontani, che sono sempre qui, sono sempre dietro l’ultima nota dell’ultimo disco e che possono, sempre, a ogni batter d’occhio saltare fuori con il loro carico d’orrore e con il loro carico di morte’. Aver scelto la proiezione di questo messaggio conferma, qualora ancora ce ne fosse bisogno, che la qualità del sapere mostra l’arte per ciò che è; per ciò di cui abbiamo bisogno. 
E ancora altissimo il livello raggiunto da Cannavacciuolo in ‘Ricordo di Maria A.’, il meraviglioso poema giovanile di Brecht.
In ‘Bilbao song’ la luna rossa è tra le tegole. E anche se non si sapeva se alla gente potesse piacere, Milva/Gennaro cantano che non c’era niente in tutto il mondo che a loro potesse piacere ancor di più. Ed è proprio qui la loro forza, quella che li accomuna, d’altronde la libertà è tutto per l’artista, che l’artista fa le sue scelte indotte da un istinto che non vuole accettare compromessi. Una rivoluzione necessaria. Per fortuna.
Appare ‘La guerra che verrà’ di Bertolt Brecht e in poche righe, poche gliene servirono per giunger al focus della pornografica essenza del conflitto, La guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente. Infatti, oggi la guerra c’è e vive nel paradosso dell’indecenza.
Trascinante l’interpretazione della ‘Ballata di Maria Sanders’ dove ‘La fame cresce e i tamburi rullano più forte che mai…’.
Anche Alda Merini dedicò a questa immensa artista una poesia col titolo ‘Gli occhi di Milva’ e la voce di Alda riempie il teatro di tutti i suoi dolori, le sue folli gioie ‘…coloro che pensano che la poesia sia disperazione non sanno che la poesia è una donna Superba. E ha la chioma rossa’.
È evidente che c’è un grande lavoro dentro questo spettacolo. Infiniti, inarrestabili, input che sollecitano all’allerta Arte!
Una parrucca stile settecentesco, una maschera che riconduce all’istante a Napoli, un Pulcinella elegante Gennaro - seguendo il consiglio prezioso della Dottoressa Martina Corgniati che gli chiese più Napoli nello spettacolo perché sua madre amava questa terra - riporta la sirena in un mare di bellezza.
Con ‘Chiove’, citando il testo e guardando la reazione del pubblico in sala ‘Gesù, ma comme chiove!’, l’atmosfera si fa onirica, struggente, devastante, commovente.
E poi ‘Oblivion’ porta sul palco Astor Piazzolla
Una lunga sciarpa rossa accompagna Gennaro in un tango caldo, ‘Yo soy Maria’, e canta, appunto, un tango che nessuno ha mai sognato. Con un cortes si arresta, con l’enrosque giunge il movimento circolare, il gancio poi, non trovando la bella gamba della sua partener, si avvolge su foulard rosso che dice, dichiara, grida il suo atto d’amore.
Sofisticato, irrequieto e volitivo. Versatile e curioso, Gennaro. I capelli ramati, lui, a differenza della sua Milva, li porta dentro in tutte le sue sensibilità, e sono molte per giungere alle migliaia di sfumature che fanno del suo viso mille visi, dei suoi movimenti uomini e donne di eleganza sopraffine, e dell’estensione della voce una scala che vola su un’elegante croisette

Quindi, alla domanda che qui precede il tutto, Gennaro Cannavacciuolo ha risposto, sì, la scintilla di questo fuoco divorante, lo anima e ci anima.




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Aggiornato il

  04 aprile 2022