Benedetti e Beckett in un mariage d’amore
Di Veronica Meddi
Francesca Benedetti torna a Beckett, e noi ringraziamo dèi e demoni per tanta struggente bellezza. L’attrice è teatralità assoluta messa a servizio dell’anti-teatralità beckettiana, un mariage sanguigno, pluriorgasmatico e feroce tra due opposti che si sono detti «Sì».
Al Teatro Basilica fino al 23 febbraio 2020 la Lettura–Spettacolo che vede come unica protagonista la divina Francesca Benedetti in BACK TO BECKETT, la Trilogia beckettiana composta da Molloy - Malone muore - L'innominabile, con traduzione di Aldo Tagliaferri, drammaturgia di Francesco Tozzi, regia straordinaria per genialità di Marco Carniti e con Dario Guidi. Aiuto regia Francesco Lonano.
Dello stesso Carniti un progetto scenico che gioca sul capovolgimento immediato tra ciò che dovrebbe essere e ciò che è, su una platea verticalizzata a parete, rosse le sedute, tra cui appare e si muove la Benedetti scagliando parole verso un pubblico che de l'autre côté la ammira ipnotizzato. Spietata semplicità che arriva come codice traducibile efficace. I teli di plastica in-colori accompagnano l’inspiegabile. Lucida follia!
Emotive e patologiche le musiche di David Barittoni conducono come un intransigente metronomo i tempi di questo spettacolo sublime vissuto da personaggi miserabili, mutilati, morenti dal primo vagito. La Benedetti dà corpo, anima, voce, con fierezza, alla beffarda indifferenza. In questa laica spiritualità la parola d’ordine per essere se stesso fu e ancora è quella che s’impose per sbarazzarsi delle convenzioni naturalistiche. La realtà era mutata e bisognava parlare in modo nuovo. Beckett prese a prestito la forma dominante dell’Ottocento chiamata da Szondi ‘dramma conversazione’ privandolo della sua funzione significante. E Francesca recita e dà vita a: «Si piange per non ridere». «Non mi lavo, ma nemmeno mi sporco». «C’è così poca differenza tra un uomo e una donna». «Sono cieco». «Partoriamo a cavallo di una tomba». «E se il tempo mi venisse a mancare per tutta la vita». «Ho paura». «Eppure si va avanti». «È quello che è. Può quello che può». L’attrice/personaggio, maschio/femmina, si accompagna con il bastone e fa la sua ascesa inarrestabile; accetta i limiti di «Questo paradiso dei poveri, rimasticato», ma «Tutto vigliaccamente; ritardare per ritardare il momento di parlare di noi» perché siamo «Bestie nate morte in gabbia». «L’impossibilità di parlare. L’impossibilità di tacere. Me la sono cavata». «Bisogna continuare a parlare». I continui tocchi alla porta fanno sì che quando il pensiero si appoggia su Beckett subito ci si manifestano Estragone e Vladimiro i surreali personaggi di Aspettando Godot. Ma di opere il drammaturgo (e non solo) nato a Dublino di capolavori drammatici e narrativi ne ha creati molti, tutti ricchi di forza poetica. Un genio che ha saputo parlare a tutti. Anche a quel pubblico di ergastolani del carcere americano di San Quentin che non ebbero neanche un attimo di perdizione nell'afferrarne il senso. Per i personaggi di Beckett ‘la morte si sconta vivendo’ e Francesca Benedetti nei 50 minuti di spettacolo, mantenendo il pathos costante, rinnova la vita all'Arte.