TEBAS LAND: Blanco, Savelli, Masella, Picchi e la terra dell’amore

Di Veronica Meddi

«Ciao» è il primo contatto verbale tra due persone che s’incontrano per la prima volta; non importa l’età, lo status sociale, sessuale, non ha importanza se si è liberi dentro o liberi fuori, il ciao è quella manciata di lettere che ha il potere di annullare barriere o creare nuove reti di contenzione. Da questo saluto informale e veloce inizia un viaggio che attraverserà la vita, che apre un mondo, vissuto, subìto, e ancora non conosciuto. 
Ecco che, grazie a TEBAS LAND di Sergio Blanco in scena a Spazio Diamante dal 20 febbraio al 1° marzo, il luogo deputato alla finzione si fa spietata verità. Ha condotto il gioco l’attenta regia di Angelo Savelli che ha curato con maestria di questo potente testo ogni singolo respiro. In scena, Ciro Masella e Samuele Picchi, si sono fatti carne di quel respiro, appunto. 
Masella, in una saletta adiacente, fa un’introduzione di ciò a cui il pubblico, da lì a breve, avrebbe assistito. Ovviamente, all'insaputa di tutti, lo spettacolo è già incominciato, ma l’attore riesce a creare l’effetto documentaristico voluto. Ognuno dei presenti, in quei pochi minuti, ha pensato che veramente a pochi metri, in una recinzione, fosse ad aspettarlo un assassino, non uno qualunque, ma un parricida. Una verità costruita a tavolino, perfetta. 
In gabbia, Picchi, è lui a vestire i panni di Martino, pantalone della tuta nero, felpa rossa e scarpe da ginnastica, è questa la mise del carcerato. Ho creduto che fosse veramente un detenuto, la tensione del corpo nervoso e arreso, un pallone da basket tra le mani pizzicato nervosamente come fa chi attende qualcosa o qualcuno, il pallore del viso di chi da tempo non si affaccia all'aria aperta e imbottito da psicofarmaci cerca di dettare un tempo che ormai non è più suo. Perfetto. Vero. 
Sono bastate poi poche battute pronunciate in dizione impeccabile a far capire il gioco della finzione teatrale e accettarla.
Masella con la giusta tensione entra in questa rete/campo/carcere alta 3 metri, l’identificazione ha agito, in gabbia c’era tutta la platea. Perfetto.
L’attenzione di Martino cade subito sull'orologio del suo interlocutore, non lo vuole in dono, l’importanza dell’oggetto è solo nel tempo che segna. Il tempo.
Dentro la gabbia, la vita di un carcerato e di uno scrittore. Fuori dalla gabbia, un giovane attore e un regista. Verità e finzione, con sforzi e ritmi diversi, tentano di mandare il pallone nella rete da basket. Se ancora non si fosse capito, TEBAS LAND, fa canestro.
Martino è un Edipo che si fa «parricida senza preparazione», perché è così che fa la vita, non ti prepara alla parte da interpretare.
Al collo indossa un rosario, il suo «Rosario è fatto di petali di gelsomino»; snocciola ogni giorno preghiere di dolore. 
Blanco non può non evidenziare il cinismo della stampa, con tanto di foto, prima papà e figlio felici al mare, poi i risultati di un crimine efferato con forchetta. 21 colpi di forchetta, per ogni insulto violento subito, «idiota». E ancora, «puttana». Da un bicchiere di latte, il bianco di Roland Barthes, geniale per profondità. «Epilessia profonda accompagnata da visioni», questa è la diagnosi per Martino
L’autore come elemento di semina per il concetto del vero-falso, usa le sneakers e un modello di occhiali. Le grandi verità nascoste in dettagli trascurabili, in apparenza.
Il detenuto vede e crede delle cose. Ma anche lo scrittore porta in carcere tutti i suoi dolori; ho pensato che anche lui avesse ucciso suo padre. «Tutti uccidiamo i nostri padri». 
Risemantizzazione dell’oggetto; è una forchetta, non un coltello, «finchè un giorno non ce l’ho fatta più e l’ho ammazzato», ma si sa che «creare è rischiare» in questa cosa strana del teatro. 
TEBAS LAND, un’operazione riuscita e mi limito al consiglio, perché non posso obbligare nessuno, anche se lo farei volentieri, di non perdere assolutamente questo piccolo capolavoro d’arte.

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Aggiornato il

  21 febbraio 2020