‘QUANNO C’ERA A ROMA … ER MARCHESE DER GRILLO’ SAN PIETRO DA LASSU’ SE LA RIDEVA

Di Veronica Meddi

Inutile dire il contrario, ‘Quanno c’era a Roma…er Marchese der Grillo’, io non c’ero, ma sicuramente, non credo di sbagliare a pensarlo, si stava meglio. 
Sì, perché già solo assistere allo spettacolo nel Teatro Sala Vignoli (via Bartolomeo D’Alviano, 1) il 26 e 27 giugno 2019 alle ore 21 è stato un vero toccasana di buonumore. 
A portare in scena la commedia scritta e diretta da Stefano Dionisi è stata la Compagnia “Attori per caso” composta da Alessandro Franco Smeraldi, Michele Brancatelli, Anna Lisa Galli, Loredana Grossi, Sara Giambenedetti, Elisa Nichil, Diego Giordano, Giovanna Porcedda, Simone Fortunio, Debora Tombolillo, Maurizio Pedini, Antonella Venanzuola, Matteo Dionisi, Mirco Pavone, Eleonora Pedini, Paolo Corsi, Stefano Dionisi. Alle luci e all'audio Roberto Giansanti e Massimiliano Nichil
Ora, sarà per caso, per gioco, o chissà per quale disegno divino o di vino, un fatto è accaduto, e per quasi due ore il pubblico divertito e partecipe ha potuto dimenticare un oggi che ghigliottina sul serio i sogni.
‘Quanno c’era a Roma … er Marchese der Grillo’ apre il sipario su un tempo che aveva i sapori e i profumi del buono.
Sul palco sono presenti anime di personaggi scritti per essere drammatizzati, e che si manifestano sullo spazio, in cerca di un gioco che deve iniziare, per loro stessi e per noi.
«Voglio ritmo!» tuona il regista. E tutti, dico tutti, dimostrano di essere entrati perfettamente nel ruolo.  
Tra indisponenti rumori e maldestri movimenti il regista passa in esame i costumi di ogni singolo personaggio. Un calzino sì e uno no, una radio per la macchina che nell'Ottocento non era ancora stata inventata, una scala che per pigrizia non si vuole andare a cercare, e la commedia va.
Ci si ritrova nei salotti di una Roma nobile, precisamente nelle stanze del Marchese del Grillo, interpretato da un convincente Alessandro Franco Smeraldi che per tutta la commedia, e nel ruolo anche di Gasperino il carbonaro, conquista con naturalezza talentuosa il pubblico in sala. Padrone di ogni movimento, parola e respiro, equilibri messi a rischio dai fumi dell’alcool e sfrontatezza manifesta, Alessandro conquista la scena e sono certa che alla fine il suo Gasperino avrà trovato la risposta a «er quisito».  
Michele Brancatelli è la romanità genuina, responsabile e godereccia, lui è Mollicone, un Sancio Panza che Cervantes pensò bene di affiancare al suo stonato eroe per la lotta contro i mulini a vento. È sufficiente che l’attore Brancatelli sia in scena per fare un balzo temporale che ci riporta a quando il Tevere era ancora biondo.
Il Marchese ha poi una Sora Madre ingombrante, sa di teatro la trasformazione dell’attrice Loredana Grossi che divertita ne interpreta il ruolo con fedele grazia ottocentesca. Qualche ruga dipinta in viso, un bastone per deambulare in modo incerto, come l’anzianità vuole, e il gioco è fatto.
La nobiltà ha sempre ostentato regole rigide, le stesse che a modo suo sovverte il nostro caro Marchese, e le mutande che «fanno vedè pure er porpaccio» sono davvero da disonorata. Crea comicità pensare che oggi per la stessa biancheria venga utilizzata molta, ma molta meno stoffa. 
Il Marchese pensa a fare uno scherzo e si traveste da Papa anche qui divertente l’effetto comico che Alessandro, Michele e Matteo Dionisi, riescono a creare. L’arte dell’equivoco, seppur pensata inferiore all'arte della tragedia, è altrettanto nobile, dunque non semplice da realizzare. Matteo Dionisi ha fatta sua l’arte e con ironia intelligente ha conquistato l’intera platea.
Il pubblico ha perso completamente la sua compostezza quando è apparso Simone Fortunio in scena nei panni di Virginia, una Mariangela Fantozzi tutta romana. Con tanto di parrucca, trecce infiocchettate, tempi impeccabili, e un modo tutto suo di piagnucolare, fa ridere, credetemi, a crepapelle. 
Il povero Aronne Piperno, falegname da tre generazioni, pur presentando il conto (su carta igienica, tanto vale), non verrà pagato dal capriccioso Marchese. Impeccabile Maurizio Pedini nell'interpretare l’ingenuità di chi è buono di cuore.
Dagli esterni agli interni i cambi scena sono sotto gli occhi del pubblico, simpatica la trovata di accompagnare il tutto con la Sonata per clavicembalo n° K1.
Svelata la scena ideata da Gianni Tripodi, liberata dai tendaggi, appare la cupola di San Pietro, ai lati la trattoria con menù di bucatini, amatriciana, vino dei Castelli, e dall'altra parte la falegnameria di Via dei Banchi Vecchi, dove poi, per gioco, spunta uno dei tanti umidi vespasiani che all'epoca invadevano Roma.
Nel rocambolesco gioco degli equivoci, studiato bene da Dionisi e realizzato da tutti gli attori che, altro che per caso, vola in scena Acqua Santa, consigli ad Olimpia che deve assumere un accento elegante francese, quello del Pigneto non può andare bene, spuntano ansiolitici, uno sfigmomanometro, un’autoradio, e poi «Nun devi tirà le pigne sulla macchina» (battuta che è piaciuta moltissimo all'attore pasoliniano Ninetto Davoli, presente in sala). Insomma, l’esilarante caos di questa banda di cialtroni diverte, anzi, fa ridere tutti, fino al momento in cui, invece, il Papa, svelato l’arcano, riprende in mano le redini di questa cialtronesca e adorabile buffoneria umana: sentenzia ghigliottina al Marchese del Grillo. Altro che scherzo da prete, qui lo scherzo lo fa il Papa in persona e secondo me, nun fa male. Infatti, come ogni favola che si rispetti, ecco che nel fine c’è la morale: «bisogna comportasse bene nella vita, senza pestà i piedi a nessuno».
Spettacolo che consiglio e sigillo con tanto di cera lacca di non perdere perché fa bene ar core.
 


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Aggiornato il

  29 giugno 2019