«MINNAZZA»: Leo Gullotta nutre con arte la Terra

Di Veronica Meddi

Tra le mani, la Terra. L’immagine è poetica, come l’origine di un pensiero prima della corruzione, prima che il tempo solchi la pelle o dopo un incidente che lascia le sue cicatrici. In origine era possibile persino piangere, e con le stesse mani asciugare le lacrime. «Non posso piangere che gli occhi ora sono secchi» recita il Maestro Gullotta nel suo siciliano al pubblico amico. Tuona la responsabilità. Al Teatro Arcobaleno Centro Stabile del Classico dal 26 al 28 aprile 2019 la Compagnia Castalia presenta Leo Gullotta in «Minnazza. Miti e pagine di Sicilia» uno spettacolo di Fabio Grossi tratto da Giovanni Meli, Tomasi di Lampedusa, Luigi Pirandello, Luigi Capuana, Pippo Fava, Ignazio Buttitta, Andrea Camilleri. Le musiche di Germano Mazzocchetti e i video di Mimmo Verdesca. ‘La venere di Willendorf’, la statuina muliebre di soli 15 cm proiettata è enfatizzata, la sua vulva è enorme, anche i seni sono gonfi. Perché nell'epoca paleolitica, molti millenni fa, l’uomo sapeva che la prosperità è femmina? Perché il colore rosso oggi ha un altro vergognoso significato? Perché s’ammazza chi genera vita? Terra e donna. «Noialtri l’avevamo, la madre, ce la rubarono; aveva le mammelle a fontana di latte e ci bevvero tutti, ora ci sputano», queste le parole del poeta italiano Ignazio Buttitta in una sua poesia rigorosamente in lingua siciliana. Gullotta con sensibilità racconta la leggenda di Colapesce e immerge tutti in acque profonde che grazie alla sua maestria si fanno amniotiche, combattive contro l’arroganza del potere. Si narra che Colapesce stia ancora sotto le acque profonde del Mediterraneo a sorreggere le colonne portanti della sua Sicilia, e, detto tra noi e Leo, della corona del prepotente Re di turno non importa niente a nessuno. D'altronde Leonardo Sciascia chiarì che «la sicurezza del potere si fonda sull'insicurezza dei cittadini» e questo dovrebbe ormai essere chiaro a tutti. No? Ancora, no? 
Dopo sorrisi illuminati da riflessioni profonde ecco apparire un’immagine già nota, una di quelle che non si fermano certo in un rettangolo d’attenzione, no, si espandono, vanno oltre il momento e si attaccano alle coscienze; ebbene, 19 luglio 1992, Strage di via d’Amelio. E con la musica del Maestro Germano Mazzocchetti viene enfatizzato il dolore che piange sangue tra i tasti di una fisarmonica. Tutto si fa ancora più incisivo. Perché? Perché la musica scanzonata, come un sorriso che sfugge indecoroso proprio nel bel mezzo di un funerale, ristabilisce la linea di confine tra il prima e il dopo. Leo crede al potere della memoria e della fantasia. Responsabilità, ricordate? Nel suo viaggio narrativo menziona due clowns, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia che conobbe anni prima in una piazzetta siciliana, e che ritrovò poi in cartellone al Teatro Sistina per Rinaldo in campo commedia musicale di Giovannini & GarineiLeo, padrone di ogni suo respiro ma vulcano di emozioni, commuove e fa ridere in maniera squisita con la lettera di un’amante analfabeta pensata da Andrea Camilleri
L’intera platea del Teatro Arcobaleno non si muove, non tossisce, non scarta caramelle e ha silenziato i cellulari. Tutti, e la sala ieri sera era piena, tutti ammaliati dall'arte di Gullotta. Le parole che echeggiano su questa madre terra nei nostri giorni malati, sono: possedere, avere. Il problema, dice, è che siamo governati da tanti prestigiatori. Il pubblico annuisce. «Se non si è disposti a lottare a che serve essere vivi» cita Giuseppe Fava giornalista ucciso dalla mafia il 5 gennaio 1984. È nella morte, il tradimento del passato. Leo Gullotta, accompagnato dalle impetuose musiche del maestro Germano Mazzocchetti e dai video verità realizzati da Mimmo Verdesca, ci guida in un percorso drammaturgico, curato con meticolosità da Fabio Grossi. Ecco che le splendide parole, magistralmente declamate e soggettivizzate al ritmo di una melodia passionale e illuminata da immagini che senza censura e in piena libertà mostrano di volta in volta, fichi d’india, pupi, carretti siciliani, gerani rossi e morte, conducono il pubblico a un mar Mediterraneo che si trasforma in cimitero liquido. Di sera, un geranio, è la novella in cui Luigi Pirandello si interroga sul mistero di ciò che attende l’uomo dopo la morte. «Lui non era quel suo corpo; c’era anzi così poco; era nella vita lui, nelle cose che pensava, che gli s’agitavano dentro, in tutto ciò che vedeva fuori senza più vedere se stesso». «Minnazza» è uno spettacolo da vedere. Nutre, seduce, insegna. 

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Aggiornato il

  27 aprile 2019