IL RUGANTINO MICHELE LA GINESTRA TORNA AL SISTINA E RACCONTA LA COSCIENZA DI UN DONO

Di Veronica Meddi

Michele La Ginestra romano lo è, e chi più di lui poteva entrare nel limbo dei quattro Rugantini storici scelti da Garinei. Eccolo che dopo anni di esperienze, non solo teatrali ma anche televisive e cinematografiche, fa il suo ritorno al Teatro Sistina, il tempio del musical italiano, vestendo ancora una volta i panni – ormai cuciti addosso come una seconda pelle – del nostro caro Rugantino. Non è questa un’opera amata solo dai romani, no, ha trovato il consenso anche oltre oceano; chi ama il teatro non può non conoscere questa maschera strafottente e fancazzista per indole, turbolenta per passione, e coraggiosa per amore.
Al Teatro Sistina, dal 10 al 27 marzo 2022, Michele La Ginestra, Serena Autieri, Edy Angelillo, Massimo Wertmuller daranno vita alla versione storica originale con la regia di Pietro Garinei, e con la supervisione di Massimo Romeo Piparo. La Roma papalina ottocentesca ci attende pronti ad emozionarci e cantare. 
(foto Antonio Agostini)



Michele, mi racconti il primo aneddoto che ti annunciò la tua vocazione teatrale? Quando il bambino che eri, ti gridò “Io voglio fare l’attore”?

La parrocchia era il luogo dove poter sperimentare inconsapevolmente, lo spazio dove poter avere delle possibilità, quella di fare il regista, quella di fare l’attore, l’autore, e senza che nessuno ti dicesse niente, andava bene tutto. Era un modo di stare insieme, il teatro. 
Perciò, pian piano, mi sono affezionato al teatro e poi ho avuto la fortuna di incontrare un amico, Alessandro, più grande di me di sei anni - che all’epoca erano tanti, oggi non sono niente - che mi faceva lezioni di tennis, e gli piaceva questo ragazzino esuberante tanto da volerlo coinvolgere nella sua compagnia, la Compagnia Buffa. 
Cominciai a fare i primi spettacoli che avevo sedici anni, così. E oggi quel ragazzino fa il Direttore artistico del Teatro 7. 
Sono belle favole che raccontano un po’ il percorso di una vita. 
Il teatro è la metafora della mia vita. 

Quale fu il tuo primo ruolo? Quale il tuo primo ruolo importante?

In questa commedia della Compagnia Buffa io facevo il servitore del conte di Mongiovì che era un po’ simile a un Rugantino, e non avendo fatto alcuna scuola dovevo prendere spunto da quello che avevo visto. 
La cosa che mi fece cambiare la vita fu il provino di Solletico il programma per i ragazzi di Rai 1. Vinsi questo provino e decisi quindi di abbandonare la mia professione, io ero diventato il responsabile dell’ufficio legale di una compagnia di assicurazioni, avevo fatto pure una discreta carriera, nonostante la giovane età. Ho lasciato tutto, ho cominciato questo rapporto con la televisione che è durato poco. Poi ho aperto il Teatro 7 che è l’ex salone parrocchiale dove facevamo oratorio, e ho capito che quella era la casa nella quale potevo stare e, con difficoltà, dovevo portare avanti alcune cose della mia vita. È stato un po’ una salvezza perché poi, finita la televisione mi ritrovai perso. Allora, organizzai uno spettacolo al Teatro 7 per farlo vedere a Pietro Garinei, perché sapevo che Valerio Mastandrea non avrebbe più fatto Rugantino. Pietro Garinei venne a conoscermi, mi fece fare tantissimi provini, ma alla fine mi ha incoronato l’ultimo Rugantino di Garinei e Giovannini.

Dopo 20 anni, Michè, ce risemo! Sarai Rugantino e non in un teatro qualunque, no, proprio al Sistina. Come ti senti? 

Innanzitutto, mi sento acciaccato (ride, e io sorpresa rido con lui), perché ieri, stavamo sul palco, facevamo le prove, e salta di qua e salta di là, un dolore alla schiena. Mannaggia! 
Ma a parte questo, mi sento orgogliosissimo di questa possibilità, è bellissimo mettere a disposizione questo personaggio con l’esperienza che io, vent’anni fa, non avevo.
Io l’ho fatto la prima volta nel 2001, poi nel 2004/2005, sono sedici anni che non indosso i panni di Rugantino e ti devo dire che è una bella sensazione, una bella emozione. È lo spettacolo che io ho sempre adorato, e l’idea di poterlo fare all’età mia io me l’ero tolta, ho pensato, va be, è finita, non si può più fare. E invece Piparo ha deciso di rifare Rugantino con i Rugantini storici, così, la favola riprende. È vero che è uno spettacolo che fa parte della storia di Roma ma è anche uno spettacolo che può coinvolgere tutti. 
Le scenografie sono quelle originali di Coltellacci, infatti ci sono un po' di difficoltà perché sono scenografie vecchie, pesanti rispetto a quelle di oggi. Queste sono degli anni ‘60, ai tempi la scenografia si faceva come si costruiva una casa. 

Questo nullafacente di Rugantino si innamora della bellissima Rosetta. Ma come cantava Celentano “chi non lavora, non fa l’amore”. E invece lui, l’amore lo sfida e lo conquista. E per amore si fa ammazzare. Quanto è impegnativo questo ruolo?

Sai, è un ruolo che è bellissimo, perché tu porti il pubblico a passare da una risata intensa a un momento di commozione fortissimo; perciò, chi interpreta questo ruolo deve essere capace di interpretare la parte drammatica, la parte comica, essere brillante, essere accattivante per il pubblico. Poi, nella parte finale, quando sta in carcere con Mastro Titta è una prova attoriale importante; io ogni tanto ci ragiono, e penso che oggi come oggi sarebbe una storia assurda. All’epoca, a metà dell’800, l’idea di poter morire per una coltellata all’osteria perché uno, magari, aveva solo guardato in un certo modo una ragazza, o andava a fare una serenata alla ragazza sbagliata, era una cosa normale, no? Questo che decide che per amore vuole morire da uomo…

Una domanda che ho sempre voluto fare a Rugantino quando Mastro Titta grida, “AH RUGANTI’, NA BOTTA E VIA!”, quali pensieri attraversano il personaggio e quali l’attore?

Rugantino pensa “ho vissuto una vita spensierata, senza mai dovermi prendere un impegno, ecco, anche adesso io sto facendo una cosa in modo spensierato, ed è l’ultima cosa che farò, perché me so innamorato”. Capisce che non avrebbe avuto altra scelta, perché se avesse detto la verità, alla fine, avrebbe chiuso completamente con la donna che amava, quindi, preferisce morire per avere l’amore, l’affetto di una donna amata.
L’attore invece pensa, “speriamo nun se rompa er fermo che blocca…! Se se rompe er fermo, ciao, arrivederci!” (sorpresa, scoppio a ridere). Io ogni volta controllo con attenzione. 

Il 15 dicembre 1962 fu la prima volta di Rugantino al Sistina. Dopo due anni, saresti nato tu. Un pensiero in merito? 

Per questo mi spingo a farlo (ride), perché questo spettacolo è entrato nella storia, e poi ci saranno tante altre versioni, non so come, chi, perché questa è la commedia musicale per antonomasia, ‘Rugantino’ e ‘Aggiungi un posto a tavola’, lo sono. Altre sono state belle, interessanti ma non hanno mai raggiunto questi livelli, questo è l’unico spettacolo che è andato in America ottenendo un grande successo. 
E con la commedia inizi anche tu a fare parte della storia, quando il tuo nome comincia a uscire sui libri di commedie musicali, quando ti ritrovi a essere uno dei quattro Rugantini storici.

Rugantino era il bullo di quartiere, un bullo buono. Oggi, il bullo non è buono. Cosa è cambiato?

I bulli c’erano pure all’epoca, non era Rugantino sicuramente, era la maschera romana che raccontava di un personaggio che preferisce perdere un amico piuttosto che una battuta. Era quello che ogni cosa, anche quella esagerata, doveva essere messa in tono scherzoso. Non aveva rispetto del funerale, non aveva rispetto degli altri. Un bullo! Che poi era un cacasotto! Il bullo invece è uno cattivo, perché forse non ha mai conosciuto la bellezza della dolcezza, dell’affetto, dell’amore, è senza difese. Credo che siano persone molto insicure che trovano con questi atteggiamenti violenti e cattivi la loro coperta di Linus. Bisognerebbe fare uno sforzo in più per tirare fuori il buono che è in ognuno di noi. 

Quella da voi messa in scena, dal 10 al 27 marzo, sarà la versione storica originale, quella con la regia di Pietro Garinei, le musiche del Maestro Trovajoli, le scene e i costumi di Coltellacci. Oggi, senti più o meno responsabilità, rispetto a vent’anni fa? Cioè il tuo Rugantino, in cosa è cambiato.

Io quando sono salito sul palco del Sistina e mica ho capito niente! Per 40 giorni ho fatto le prove solo con l’aiuto coreografo, poi 5 giorni prima del debutto, ho visto gli altri attori e la scenografia, era una cosa difficilissima da comprendere, i ballerini che me sbattevano da una parte all’altra, cioè, io ho vissuto tutta questa situazione in apnea. Poi quando mi sono un po’ tranquillizzato, perché cominciavo a capire, ho vissuto un momento d’euforia. 
Dal Teatro 7 al Sistina, è stato un salto pauroso. 
Quel 2001, per me, dal punto di vista artistico, è stato un anno favoloso. Poi avevo vinto il programma per buoni conduttori ‘Nientepopodimenoche’ di Michele Guardì, che mi fece condurre ‘I fatti vostri’. Tutto insieme! E un po’ ti stordisce! 
Oggi, ho un’età e un’esperienza che mi permettono di affrontare questo personaggio con più serenità, più tranquillità. Io ho fatto 20 anni di spettacolo, scrivendoli, dirigendoli, producendoli, da me, affrontando platee enormi. Insomma, oggi, c’è una consapevolezza diversa, e di questo sono gioioso. 
Mi piacerebbe ricavare la memoria di Pietro Garinei, una persona a cui ho voluto molto bene, una persona che mi disse “Signor La Ginestra non mi deve ringraziare, se io ho scelto lei è perché mi conviene” (Michele imita Garinei). E chi te lo dice! Ero bravo, è vero, e mi ha dato il ruolo. Era già uno spettacolo venduto, perciò non aveva bisogno di un nome. Credo di essere stato il protagonista del Sistina meno pagato nella storia del Sistina. Ma era giusto così, accanto a Sabrina Ferilli, a Mattioli, insomma... È stata una bella favola, ora mi piace chiuderla con più consapevolezza. 

In Tirollallero si canta “La barca nun cammina senza vento”, Michele, qual è il tuo vento artistico e quanto è forte?

Il vento artistico mio è fortissimo, nel senso che io mi sento una grandissima responsabilità, penso veramente di aver ricevuto un dono, un talento da sviluppare che è quello di mettere a disposizione degli altri la mia arte. E qui penso a ‘E’ cosa buona e giusta’. Credo che ognuno di noi abbia ricevuto dei talenti da sviluppare, delle capacità. Noi siamo chiamati a regalare bellezza agli altri. Perché la bellezza? Perché fa pensare alle cose senza troppi ragionamenti. Se vedi un bel quadro non c’è da ragionare tanto, se vedi una bella ragazza, pure. Con musiche particolari, vengono i brividi. Devi capire il meccanismo: ‘La commedia degli equivoci’ la farei a occhi chiusi. Io attraverso la risata, vorrei portare a un ragionamento, una riflessione, una commozione; questo mi piace fare sul palcoscenico. Questo è il talento che ho ricevuto e penso che non si esaurirà mai, finché io sarò predisposto all’ascolto. 

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Aggiornato il

  28 febbraio 2022