Al Teatro Golden Gianfranco Jannuzzo SICILIANO PER CASO

Di Elisabetta Ruffolo

Gianfranco Jannuzzo al Teatro Golden fino al 2 febbraio in “Siciliano per caso” di Roberto D’Alessandro e Andrea Lolli
Conosco Gianfranco Jannuzzo dai tempi di “Gli attori lo fanno sempre” accanto a Gino Bramieri furono definiti dalla critica “La strana coppia” condividevano l’amore per il Teatro e far divertire il pubblico. 

In Siciliano per caso il fil rouge è il viaggio di Giovannino Pattarizzuti, un giovane siciliano, nato in una famiglia povera composta dai genitori, i nonni e altri undici fratelli. Un giorno decide di lasciare il suo paese natìo per amore e comincia a peregrinare per tutta l’Italia, scontrandosi con realtà molto diverse dalla sua. 

Alla prima domanda, Jannuzzo è un fiume in piena e così più che farsi intervistare, Jannuzzo si racconta…

Giovannino Pattarizzuto, quanto ti somiglia? 
Quando ho parlato con Roberto D’Alessandro che oltre ad essere Autore e Regista dello spettacolo, è anche un mio carissimo amico, gli ho raccontato che quando ancora non avevo deciso di fare l’attore, quando viaggiavo per l’Italia, avevo un fortissimo accento siciliano, ho in seguito imparato l’italiano anche se quando non lavoro, mi piace parlare il dialetto e ne ho fatto la mia bandiera. Mi piace cimentarmi nel calabrese che è molto simile al siciliano e in altri dialetti come il toscano e il veneto che sono musicalità straordinarie come l’emiliano e il sardo. Bisogna comunque avere molto rispetto dei dialetti oppure lasciar perdere perché altrimenti diventa tutto ridicolo. Ogni volta che parlavo, mi chiedevano “siciliano per caso?” Lo spettacolo nasce con il tentativo di far capire che anche se si parte da una zona bistrattata come il nostro amatissimo Sud, si ha voglia di tornare lì perché ti senti a casa tua, ci sono le tue origini. Tradizioni, usi, costumi, gli affetti. Lì vorresti realizzare i tuoi sogni ma non c’è lavoro, non ci sono infrastrutture e tutti i mali del Sud che conosciamo benissimo. Ci sono stati periodi in cui si è cercato di ribaltare il detto “cu nescia rinescia” perché è vero che andare a studiare in altre città era meglio ma poi una volta laureati volevano tornare nella propria terra. 
Bisogna moltiplicare le strutture per permettere ai ragazzi di non abbandonare la loro città, il loro paesino. E’ il luogo comune di cui parlo nello spettacolo. Da questo punto di vista abbiamo pagato un prezzo altissimo. Abbandonare la propria terra è motivo di tristezza per chiunque, sia al Nord che al Sud. Le migrazioni di massa ci sono state dappertutto, i veneti hanno popolato il Venezuela e l’Argentina. 
Dal confronto con gli altri siamo stati capaci di diventare ciò che siamo, un popolo ricco di cose belle che ci sono arrivate dai Turchi, dai Saraceni, dai Greci, dai Romani. La Magna Grecia era la Calabria. Quando scherzo e rido sul fatalismo dei cugini calabresi e dico “Il Fato aleggiava sugli Dei”, lo stesso Giove che comandava tutti nell’Olimpo doveva fare i conti con il Fato. Questa cosa ci è rimasta dentro. 
La cultura che la Sicilia e la Calabria ha in comune si rispecchia anche nei contadini che pur non avendo studiato, dicono “mi fanno male i piedi” aggiungendo “con rispetto parlando”.
Mi piace ridere e scherzare, c’è campanilismo e guai se non fosse così. Ognuno di noi deve essere orgoglioso di appartenere alla propria terra e di appartenere alla stessa Nazione. Il sogno realizzato da ragazzini di diciannove anni, nel secolo scorso e molti hanno perso la vita perché molti staterelli diventassero una cosa unica, adesso non gliene frega niente a nessuno, Stanno cercando di dividerla nuovamente anche se di fatto è divisa perché c’è un’Italia a due marce da tanto tempo e se ne fregano.  Quello che mi dispiace è che noi abbiamo la testa, strumenti intellettuali importanti per ribaltare la situazione, non facciamo niente. A tutti i livelli anche i nostri politici che si sono succeduti e continuano a succedersi che hanno fatto qualcosa, mi viene in mente Giacomo Mancini e cosa fece per Cosenza la sua città. Un centro storico valorizzato, fece arrivare l’Autostrada del Sole, realizzò vari indotti. Se ci fossero stati altri come lui, in tutto il Sud, la situazione sarebbe diversa.. I compromessi ci sono sempre stati, oggi distruggono i sogni dei ragazzi che è la cosa più becera che ci possa essere.
Da siciliano ho i miei riferimenti letterari importanti: Bufalino, Pirandello, Camilleri, Sciascia eppure tutti i giorni penso a Corrado Alvaro quando scriveva “La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile”. 
La disonestà civile a cui assistiamo quotidianamente che ci porta ad avvilirci e a costringere i nostri ragazzi ad avere gli occhi senza speranza e con difficoltà che noi non abbiamo conosciuto, nasce dal fatto di occupare posti che non potresti occupare perché non hai studiato per occuparli. Fare un mestiere che non sai fare, è più disonesto che andare a rubare una gallina perché hai fame. Fai un danno maggiore. 
La povertà si tocca con mano, l’altro giorno al supermercato una signora straniera non ce la faceva a pagare la spesa perché le mancavano 12 euro. Tutti quelli che eravamo in fila, ci siamo prodigati per aiutarla. La signora era mortificata e la stessa cosa accade ai pensionati che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese. 
La politica doveva essere una cosa nobilissima ma purtroppo non ci sono altri come Giacomo Mancini che era di un’altra levatura.
Farsi rappresentanti della voce del popolo era il sogno della democrazia che ci arriva dalla Grecia e che significa potere al popolo. 

“Quando non volevi ancora fare l’attore” che volevi fare?  
Nello spettacolo proietto delle immagini perché avevo la passione per la fotografia che continuo a coltivare. Probabilmente avrei fatto il fotografo. La fotografia è comunque un modo di comunicare, molto diverso dalla recitazione dove c’è la parola, il gesto, la fisicità,  invece lì c’è la memoria, il racconto, un’immagine frutto di un processo delicatissimo perché se è un ritratto devi far capire l’anima, lo sguardo e il carattere del soggetto. Con lo scatto di una frazione di secondo, devi cogliere l’attimo per trasmettere la storia come se fosse un documento. Mio padre aveva previsto una carriera di avvocato e studiavo giurisprudenza quando ho incontrato Gigi Proietti che stava fondando “Il laboratorio di esercitazioni sceniche ed ebbi la grande fortuna di essere preso e la prima cosa che ho pensato “e ora chi ciù va cunta a mi patri?” 
L’obiettivo di Proietti era quello di formare degli attori che sapessero fare tutto o quantomeno fossero attrezzati per fare il comico e il drammatico senza nessuna distinzione. Cantare, ballare, suonare uno strumento. Se non lo sapevi fare, neanche facevi il provino. Si dovevano avere delle caratteristiche particolari. Proietti è uno che il talento lo sa riconoscere immediatamente. Non ci siamo mai divertiti tanto nella nostra vita ma abbiamo studiato come mai nella nostra vita.
Ci ha sempre fatto capire che recitare è un gioco ma è serissimo. Tutti noi ogni sera giochiamo a fare un personaggio diverso. Metto una maschera ogni sera. E’ un gioco ma devi saperlo fare. 
Noi avevamo punti di riferimento importantissimi, in Televisione c’era Walter Chiari, c’erano Mostri Giganti, ora ce ne sono alcuni di talento ma non ci sono quei Colossi di una volta. Gente che rideva e scherzava sulla lingua italiana ma la conosceva. Sembrava che Walter Chiari improvvisasse. 
Ho avuto il piacere di parlare con il figlio di Carlo Campanini e mi ha raccontato che studiavano tantissimo per fare gli sketch e invece sembrava che improvvisassero sul momento. 

Come ricordi il giorno in cui sei partito dalla Sicilia per Roma?  
Un viaggio bellissimo in un maggiolino Volskwagen. Tutta la famiglia si trasferiva e non essendoci le cinture di sicurezza, mio padre si era inventato un airbag ante litteram che aveva posto davanti al sedile di mamma che teneva in braccio mia sorella Cinzia che era appena nata. Non ci avevano ancora assegnato la casa che gli spettava come impiegato statale perché insegnava lettere. In un primo momento abitammo ad Ostia e lì frequentai la terza media e poi ci siamo trasferiti a Torre Spaccata. 
 
Ti prende ancora la malinconia del passato? 
Certo che mi prende però bisogna andare avanti e non piangersi addosso perché si sognava ma c’era il lavoro. Adesso ci sono crisi gravi che hanno messo in discussione tutto. Mai guardarsi troppo indietro ma mai dimenticare da dove provieni e chi sei.

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Aggiornato il

  21 gennaio 2020