«Cattive compagnie»: l’adrenalinica opera prima di Fabio Migneco

Di Veronica Meddi

Qualunque sia la culla in cui si nasce, poi, crescendo, però, si cammina in un fuori da scoprire.
C’è un passato e c’è un presente, il futuro invece, tutto una sorpresa. 
La musica che ci si trova ad ascoltare – non sempre per propria scelta - si danza; a volte è un elegante lento, altre uno scatenato rock, la regola, nella vita e nella scrittura, è che sia a tempo.
Con piacere posso testimoniare che Fabio Migneco in questa sua opera prima, «Cattive compagnie» (bookabook, pag. 272, euro 15), manifesta di avere il senso del ritmo. La storia, infatti, viaggia alla velocità giusta: quella di una corsa per fuggire o inseguire, o quella del volo di un proiettile che potrà colpire ammazzando o fare cilecca fallendo. 
Marco è il protagonista di questa storia fatta da immagini incastrate consecutivamente e ben studiate, proprio come frames di un film, che vanno a descrivere una periferia capitolina senza speranze.  
Nella vita di Marco c’è un prima e un dopo; così come nella vita reale c’è sempre un prima e un dopo, e forse è proprio questa fantasia romanzesca tanto vicina ai fatti di possibilistica cronaca, che fanno di questo personaggio uno che ricorda molto qualcuno conosciuto veramente.
Il linguaggio usato tra Marco e le sue cattive compagnie è decisamente pungente come l’acido. In queste vite al margine, non è percepito il volgare delle parolacce, per questi borgatari (lontani da quelli pasoliniani perché assolutamente attuali, quindi, senza la poesia del passato) volgare può essere solo un tradimento, un buffo, un furto inaspettato.
Migneco super partes fa un quadro lucido di queste esistenze senza possibilità di un riscatto. 
«Avevo torto. Come quasi sempre in vita mia». Proprio nelle prime righe del romanzo spunta il pensiero di Marco. A cosa si riferisce, quello che è ancora per il lettore un estraneo? Al fatto che lui credeva di essere morto, e invece…
In questi lividi quotidiani tutto è «Apparente. Perché la calma è sempre apparente» e ha sorprendenti fuori programma.
Dopo poche pagine si ha già la sensazione che Marco sia una persona reale che tra le righe fa le sue confessioni, i suoi racconti, tutto, ovviamente dal suo punto di vista. Il personaggio è davvero ben studiato. «… diretto verso un destino su cui troppi avevano messo bocca tranne il sottoscritto. Era ora di ristabilire l’ordine». Se c’è una cosa che Marco odia è quando la gente vuole insegnargli a vivere.
La sua storia inizia quando in giovane età fece la scelta di appartenere a una banda di delinquenti di quartiere, che operava tra Centocelle, il Quarticciolo e l’Alessandrino. «È che a volte sembra che abbiamo proprio voglia di fare la scelta sbagliata».
Fino al momento in cui, anche l’errore stanca e stanca perché la vita riserva una possibilità: l’amore. Lei è Melanie ed è una brava ragazza. E se ami una persona lontana da certe dinamiche allora è giunto il momento di lasciare il passato.
Marco sogna di aprire un rock-pub, l’unico in tutta Roma.
Per i suoi amici, che non accettano questa sua possibilità di riscatto, ovviamente, egoisticamente - perché se uno affonda tutti devo affondare, non esiste che qualcuno possa salvarsi - è solo ‘un bar de merda che te ritrovi’.
Inconcepibile spaccarsi la schiena come avevano fatto i padri – non tutti, ovvio (la delinquenza si eredita, anche) -, meglio la velocità del tutto subito adrenalinico di uno scippo (Moralità: mai scippare gente che i soldi se li suda davvero), o di una giocata alle corse di cavalli «… mi misi a osservare meglio la gente assiepata dentro, ognuno col suo scontrino in mano, tutti speranzosi di svoltare se non la vita, almeno la giornata…».
È gente senza teatro, senza curiosità; è gente ‘senza’. 
Ho apprezzato moltissimo l’immagine della sfasciacarrozze a Palmiro Togliatti «lungo cimitero di carcasse».
«Cattive compagnie» (bookabook, pag. 272, euro 15) di Fabio Migneco: l’opera prima che sono certa troverà altre compagnie.

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Aggiornato il

  07 novembre 2021