Alessandro Trasciatti racconta le «Acrobazie» delle umane esistenze
Di Veronica Meddi
«Acrobazie. Storie brevi e brevissime» (Il ramo e la foglia edizioni, pag. 84, euro 13) di Alessandro Trasciatti; e fino qui tutto sembra essere rassicurante, giocoso, divertente quasi, come una barzelletta, volendo fare un gioco di parole.
Ma, attenzione! Non è esattamente così, anzi, tutt’altro.
Prendendo tra le mani il libricino, il lettore può avere l’impressione che questo viaggio letterario scorrerà veloce e in pace. Il titolo poi, ripeto, non spinge certo a una preparazione particolare. Sono solo racconti, penserà.
Ma Trasciatti, invece, proprio come un acrobata della scrittura, riesce, in quella che definisco una perfomance che sfida la forza di gravità, a vincere questo suo carpiato funambolico, veloce e di effetto.
Protagonista è l’indole umana. L’io narrante fa del suo lettore il confidente occasionale. Ma d’altronde si sa che è più semplice svelare i propri segreti a estranei capitati in un momento non scelto.
C’è una stanza del computer dove, isolandosi, il protagonista rivela essere l’unico luogo di riservatezza. Qui, solo qui, può parlare, amare.
Il nascondiglio preferito è la tasca destra del cappotto del nonno materno, è questa vecchiezza nuova a piacergli. «Non porta ricordi pesanti, solo uno sbuffo di vento fuori moda, di giorni non vissuti, di persone mai incontrate, di pensieri estranei e intonsi». Si sente ‘intascato’ fino alle spalle e ammette «Tra poco sparirò completamente»; sostenere i ricordi è davvero pesante.
Troppi i sensi di colpa che, se pur gli concedono il sonno, gli negano assolutamente il riposo. E a stanchezza si aggiunge stanchezza.
Confessa di amare la poesia un po’ squallida del sesso in macchina, quel covo erotico in viaggio. A volte, secondo il protagonista, le storie d’amore finiscono proprio per mancanza di spazi giusti.
Tra le pareti della casa combatte gli armadi a suo dire superflui. Con i termosifoni, invece, fa le sue personali dispute.
È il Maligno che sembra non volerlo lasciare in pace. E il nostro narratore manifesta pubblicamente e in modo disarmante la sua attesa a quel dopo inevitabile per tutti.
Sprofonda poi nell’infanzia confessando di non essere figlio unico; nell’adolescenza usa il lavoro per sfuggire dalla malinconia che da sempre lo attanaglia; il futuro… il futuro lo mette tra i ricordi.
«Mi sono costruito una vita come mi pareva. Ma non ho fatto un bel lavoro. Qualcosa è andato storto».
Il prodigio in questione accende il fuoco nell’attesa che la terra ricopra l’interezza del suo limitato e limitante corpo.
Trasciatti mantiene alta l’attenzione del lettore fino alla fine; se di fine, in quest’opera letteraria, si può parlare.
Leggerla è come quando, prima di addormentarti, inizi una preghiera, per ringraziare, per chiedere un miracolo, magari, e subito una miriade di pensieri s’insinua, ti porta lontano ma mai distante, e prima di giungere all’Amen, senza rendertene conto, hai rivissuto tutti i pensieri, le emozioni, dimenticando persino cosa stavi pregando, o per cosa.
Ecco, «Acrobazie. Storie brevi e brevissime» (Il ramo e la foglia edizioni, pag. 88, euro 13) di Alessandro Trasciatti, di cui consiglio la lettura, fa proprio questo effetto.