I villeggianti. Cechov in Costa Azzurra

Di Ottavio Cirio Zanetti

Una citazione all'inizio (Botho Strauss) e un ringraziamento alla fine (Patrice Chéreau) rivelano subito i debiti di riconoscenza teatrale dell’ultimo film di Valeria Bruni Tedeschi. “I villeggianti” chiede aiuto al drammaturgo tedesco per certificare i dolori da lacerazione profonda che comporta ogni separazione e ringrazia il grande regista francese di teatro (e di cinema) oltre che per essere esistito (dico io), per aver ispirato la divisione in atti ed epilogo di questo film. Bruni Tedeschi è stata allieva della scuola per attori di Chéreau così come Vincent Perez che qui è l’attore che dovrebbe interpretare il fratello vero di Valeria morto prematuramente, dolore mai sopito. Ebbene sì, è vero, anche i ricchi piangono. Ricca non ha mai nascosto di esserlo l’attrice regista, così come non nasconde le sue lacerazioni personali, ce le racconta cercando di coinvolgerci e semmai di riderci (o di piangerci) sopra insieme a lei con autoironia a tratti feroce e senza sconti. Come faceva con i suoi personaggi Cechov e cechoviano è l’aggettivo che più si addice a questo film. C’è molto vero in tutto il racconto. Vera la madre pianista Marisa Borini (la più brava di tutti) con quella sua allure alto torinese, vera la zia Gigi Borini, vera la piccola figlia adottata insieme all'ex Philippe Garrel. Vera -immagino- la grande villa d’epoca e di famiglia dalle parti di Cap d'Ail, location cechoviana per eccellenza con giardinieri e servitù anche loro problematici. Vera la vicenda dell’abbandono dopo anni di comunanza, vera la sorella sposata con quel ricco cafone che tratta male la servitù abituata a toni assai più familiari (qui i ruoli non sono dal vero ma affidati a Valeria Golino e a Pierre Arditi mentre a Riccardo Scamarcio spetta il ruolo del refioso ex). Ma il gossip, benché gustoso, non importa più di tanto. Semmai è il “come” che colpisce. Dai dialoghi, alle telefonate supplici, alle borsate in testa all'ex già in partenza sul predellino del treno, all'amico di famiglia che cerca invano di annegarsi in mare ma nuota troppo bene e riappare quando lo si dava già per morto, alla cuoca (Yolande Moreau) ce se ne scappa da quella gabbia di matti irriconoscente. Il tutto è un film nel film di una regista (la stessa Bruni Tedeschi ovvio) che non sa fino a che punto potrà e se riuscirà a raccontare in film la storia del fratello morto. E nel finale da Cechov si passa a un effetto nebbia vagamente felliniano e amalgamante in cui disperdono rancori e sentimenti.

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Aggiornato il

  22 marzo 2019